LINGUA MATRIGNA
Da L’analfabeta di Agota Kristof
con Patrizia Labianca
Progetto e regia Marinella Anaclerio
Organizzazione Tiziana Laurenza
Comunicazione Antonella Carone Daniele Pratolini
E’ notte, Agota è sola nella sua casa con un registratore e, come Krapp o come
un medico legale
durante un’autopsia, passa a setaccio la sua vita…o meglio
la misura…nelle sue perdite e nelle sue
conquiste. Assistiamo al suo tirar le somme sulla sua vita,
la vita di una profuga che mai è riuscita a
smettere di pensare di essere fuori luogo, fuori dal suo
luogo.
Agota Kristof, una tra le più importanti ed amate scrittrici
di lingua francese è nata in Ungheria nel
1935. Il padre è un insegnante, l’unico insegnante del suo
piccolo paese. A 14 anni entra in collegio.
Nel 1956 lascia clandestinamente l’Ungheria, costretta ad
abbandonare la sua terra natale insieme
al marito e figlia neonata, quando l’Armata rossa interviene
in Ungheria per sedare le rivolte
popolari. Nella fuga porta con sé solo due borse: una di
pannolini e biberon e l’altra per i suoi
vocabolari. Con la perdita della Madre Patria, si diventa
orfani della Madre Lingua. “ come
spiegargli, senza offenderlo, e con le poche parole che so
di francese, che il suo bel paese non è altro
che un Deserto, per noi rifugiati, un deserto che dobbiamo
attraversare per giungere a quella che
chiamiamo “ integrazione”, “assimilazione”?.
In questa autobiografia scarna ma precisa, com’è il suo
stile, la Kristof analizza e racconta la natura
del suo disagio più grande nella condizione di profuga: la
perdita di identità intellettuale. Incapace di
esprimersi e di capire cosa le succede attorno, non
conoscendo la lingua francese, si definisce muta
e sorda. Ed è questo che la messa in scena vuole urlare in
silenzio allo spettatore…. Qual è lo stato
d’animo di urgenza comunicativa non sorretta da mezzi
espressivi adeguati, l’inquietudine che prova
chi approda da profugo in terra straniera, chi da anziano
non è messo nelle condizioni di capire i
nuovi mezzi di comunicazione pur costretto ad usarli, o
ancora più semplicemente l’incomunicabilità
tra generazioni differenti, come tra lei e sua madre….
Questa esperienza, dalla Kristof, raccontata con tanta
semplicità e profondità, è stata vissuta anche
da scrittori come Samuel Beckett, Irene Nemirovskij, Joseph
Conrad, autori che nel ‘900 hanno alla
fine conquistato un posto di rilievo nella letteratura della
loro… lingua Matrigna.
La Nostra Analfabeta, oramai tradotta in 18 lingue,
considerata una delle maggiori autrici
contemporanee di lingua francese, parla al pubblico per
ricordarsi quanta strada ha percorso prima
di avere la gratificazione di vedere le proprie opere
tradotte da altri in tutto il mondo. Lo fa per per
ricordare ed incoraggiare quanti come lei, orfani di Terra e
di Lingua devono ricominciare in età
adulta con l’alfabeto della Lingua Matrigna. Ogni parola ha
una radice e questa germoglia in noi sin
dalla vita intrauterina, ascoltando il mondo che ci
circonda… strappati da quel mondo si cerca di
restare a galla in acque sconosciute. Come sopravvivere
senza disintegrarsi ma integrandosi? Ed
proprio lo Scrivere che, in esilio, diventa il suo mezzo per
navigare nelle acque sconosciute di una
nuova cultura, il suo modo per sopportare gli anni tanto
odiati, quelli in una fabbrica di orologi dove
sente soltanto il ritmo delle macchine e a quel ritmo deve
adeguarsi. E decide di farlo proprio nella
lingua francese, che così tanto prima aveva detestato:
leggere e scrivere è, per lei, “una malattia”,
un bisogno impellente.
“[…] questa lingua, il francese, non l’ho scelta io. Mi è
stata imposta dal caso, dalle circostanze. So
che non riuscirò mai a scrivere come scrivono gli scrittori
francesi di nascita. Ma scriverò come
meglio potrò. È una sfida. La sfida di un Analfabeta.”
LINGUA MATRIGNA
Da L’analfabeta di Agota Kristof
con Patrizia Labianca
Progetto e regia Marinella Anaclerio
Organizzazione Tiziana Laurenza
Comunicazione Antonella Carone Daniele Pratolini
E’ notte, Agota è sola nella sua casa con un registratore e, come Krapp o come
un medico legale
durante un’autopsia, passa a setaccio la sua vita…o meglio
la misura…nelle sue perdite e nelle sue
conquiste. Assistiamo al suo tirar le somme sulla sua vita,
la vita di una profuga che mai è riuscita a
smettere di pensare di essere fuori luogo, fuori dal suo
luogo.
Agota Kristof, una tra le più importanti ed amate scrittrici
di lingua francese è nata in Ungheria nel
1935. Il padre è un insegnante, l’unico insegnante del suo
piccolo paese. A 14 anni entra in collegio.
Nel 1956 lascia clandestinamente l’Ungheria, costretta ad
abbandonare la sua terra natale insieme
al marito e figlia neonata, quando l’Armata rossa interviene
in Ungheria per sedare le rivolte
popolari. Nella fuga porta con sé solo due borse: una di
pannolini e biberon e l’altra per i suoi
vocabolari. Con la perdita della Madre Patria, si diventa
orfani della Madre Lingua. “ come
spiegargli, senza offenderlo, e con le poche parole che so
di francese, che il suo bel paese non è altro
che un Deserto, per noi rifugiati, un deserto che dobbiamo
attraversare per giungere a quella che
chiamiamo “ integrazione”, “assimilazione”?.
In questa autobiografia scarna ma precisa, com’è il suo
stile, la Kristof analizza e racconta la natura
del suo disagio più grande nella condizione di profuga: la
perdita di identità intellettuale. Incapace di
esprimersi e di capire cosa le succede attorno, non
conoscendo la lingua francese, si definisce muta
e sorda. Ed è questo che la messa in scena vuole urlare in
silenzio allo spettatore…. Qual è lo stato
d’animo di urgenza comunicativa non sorretta da mezzi
espressivi adeguati, l’inquietudine che prova
chi approda da profugo in terra straniera, chi da anziano
non è messo nelle condizioni di capire i
nuovi mezzi di comunicazione pur costretto ad usarli, o
ancora più semplicemente l’incomunicabilità
tra generazioni differenti, come tra lei e sua madre….
Questa esperienza, dalla Kristof, raccontata con tanta
semplicità e profondità, è stata vissuta anche
da scrittori come Samuel Beckett, Irene Nemirovskij, Joseph
Conrad, autori che nel ‘900 hanno alla
fine conquistato un posto di rilievo nella letteratura della
loro… lingua Matrigna.
La Nostra Analfabeta, oramai tradotta in 18 lingue,
considerata una delle maggiori autrici
contemporanee di lingua francese, parla al pubblico per
ricordarsi quanta strada ha percorso prima
di avere la gratificazione di vedere le proprie opere
tradotte da altri in tutto il mondo. Lo fa per per
ricordare ed incoraggiare quanti come lei, orfani di Terra e
di Lingua devono ricominciare in età
adulta con l’alfabeto della Lingua Matrigna. Ogni parola ha
una radice e questa germoglia in noi sin
dalla vita intrauterina, ascoltando il mondo che ci
circonda… strappati da quel mondo si cerca di
restare a galla in acque sconosciute. Come sopravvivere
senza disintegrarsi ma integrandosi? Ed
proprio lo Scrivere che, in esilio, diventa il suo mezzo per
navigare nelle acque sconosciute di una
nuova cultura, il suo modo per sopportare gli anni tanto
odiati, quelli in una fabbrica di orologi dove
sente soltanto il ritmo delle macchine e a quel ritmo deve
adeguarsi. E decide di farlo proprio nella
lingua francese, che così tanto prima aveva detestato:
leggere e scrivere è, per lei, “una malattia”,
un bisogno impellente.
“[…] questa lingua, il francese, non l’ho scelta io. Mi è
stata imposta dal caso, dalle circostanze. So
che non riuscirò mai a scrivere come scrivono gli scrittori
francesi di nascita. Ma scriverò come
meglio potrò. È una sfida. La sfida di un Analfabeta.”
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