DAVIDSON | MAURIZIO CAMILLI/BALLETTO CIVILE
liberamente tratto dalla sceneggiatura Il Padre Selvaggio di Pier Paolo
Pasolini, concept e drammaturgia Maurizio Camilli | coreografia Michela
Lucenti | con Maurizio Camilli e Confident Frank | disegno luci
Vincenzo De Angelis | disegno sonoro Andrea Gianessi | datore luci
Francesco Traverso | assistente alla regia Ambra Chiarello assistente
alla coreografia Francesco Collavino | produzione Balletto
Civile, in collaborazione con ERT Emilia Romagna Teatro / Teatro
Nazionale / focus CARNE | con il sostegno di ATER (Modena) e ICK
(Amsterdam) e del Ministero della Cultura Italiana MIC
– Che cos’è la poesia, signore?” chiede Davidson
– Ma tu lo sai! – dice il professore.
– No, non lo so! – protesta il ragazzo scuotendo la testa ricciuta.
– Sì, lo sai!
– No, non lo so!
– Sei un africano, sei immerso nella poesia!
– No, la poesia è una cosa dei bianchi.
– Canta una canzone del tuo villaggio!
Davidson si mette a cantare uno dei canti del suo villaggio.
Ma il canto è nella sua testa strettamente unito alla danza. E allora
cantando si mette a danzare.
Un lungo canto, una lunga danza.
– Ecco, questa è la poesia!
Il Padre Selvaggio è un abbozzo di sceneggiatura scritta nel ’63
e pubblicata postuma nel fatale 1975. Il regista non trovò finanziatori,
spaventati dalla sua libertà di pensiero, e il film non si realizzò. È la
storia di Davidson, un ragazzo nero sensibile e acuto, proveniente da una tribù
dell’Africa e del suo incontro con un insegnante progressista e tormentato –
una figura di frontiera alter ego dello stesso Pasolini – che cerca
di dare ai suoi ragazzi un’istruzione moderna e anticolonialista. Questa opera
sospesa racconta soprattutto il conflitto tra l’insegnante e Davidson,
diffidente alle novità di metodo e di cultura del nuovo insegnante proprio
perché è il più intelligente. Il cuore di questo contrasto è il dilemma del
rapporto tra bianchi e neri, il problema della libertà e della democrazia,
della tensione verso l’altro da sé.
Uno scritto breve ed intenso, con una forte valenza politica e non solo
poetica, una sorta di canovaccio che sfugge alle definizioni concepito da
Pasolini soprattutto come una successione di immagini e di indicazioni di
azioni. Una sceneggiatura ibrida che mischia codici e linguaggi differenti e
proprio nell’assenza della sua realizzazione offre un grande potenziale
espressivo.
Una forma indefinita che presenta qualità visive che si prestano alla messa
in scena danzata, in una vertigine tra opera letteraria e teatro fisico.
Balletto Civile ha incontrato nei suoi viaggi il suo scaltro
Davidson a Modena.
Questo spettacolo sarà fatto con lui.
Il Padre Selvaggio è un abbozzo di sceneggiatura scritta nel ’63
da P.P. Pasolini. È la storia di Davidson, un ragazzo nero sensibile e
acuto, proveniente da una tribù dell’Africa e del suo incontro con un
insegnante progressista, tormentato e anticolonialista. Uno scritto breve ed
intenso, con una forte valenza politica e non solo poetica, che mischia codici
e linguaggi differenti, canovaccio perfetto per una vertigine tra opera
letteraria e teatro fisico.
Il Padre Selvaggio scritto nel ’63 da P.P. Pasolini è una
sceneggiatura che mischia codici e linguaggi differenti, una vertigine tra
opera letteraria e teatro fisico.
È la storia di Davidson, ragazzo nero sensibile e acuto,
proveniente da una tribù dell’Africa e del suo incontro con un insegnante
progressista, tormentato e anticolonialista
Il cuore dello spettacolo è il dilemma del rapporto tra bianchi e neri, il
problema della libertà e della democrazia, della tensione verso l’altro da sé.
Teatro Tordinona 3 Marzo 2024
Monica è una madre single che spinge la figlia di 10 anni, Erika, a partecipare a estenuanti concorsi di bellezza per piccole miss. Durante l’ennesima gara, Erika ha un blocco: non vuole più competere e non riesce a spiegare il perché. La madre cerca di spronare la bambina a non mollare, ma questo non farà che peggiorare la situazione.
Miss Mother affronta in toni crudi
e grotteschi una delle competizioni più pesanti al mondo: quella tra madre e
figlia. Tra battute che strizzano l'occhio alla stand up comedy ed echi di
fatti di cronaca realmente accaduti, il primo studio dello spettacolo cerca di
rispondere a diversi interrogativi: fino a che punto un rapporto tra due
persone che si amano può essere compromesso dalla smania di vincere? A cosa si
è disposte a rinunciare, in quanto donne, per avvicinarsi al sogno dorato del
"jet set"? Chi vince davvero alla fine?
Testo di Emilia Agnesa, regia di
Francesca Orsini, con Bianca Mastromonaco
Per info e prenotazioni missmotherproduzione@gmail.com
Of The Nightingale I
Envy The Fate (Dell’usignolo invidio la sorte)
MOTUS
ideazione e
regia Daniela Nicolò e Enrico Casagrande
con Stefania Tansini
drammaturgia Daniela Nicolò
suono dal vivo Enrico Casagrande
ambienti sonori Demetrio Cecchitelli
direzione tecnica e disegno luci Theo Longuemare
brano musicale R.Y.F. (Francesca Morello)
props in lattice _vvxxii
abito Boboutic Firenze
foto Ilaria Depari
assistente costumista e scenografa Susana Botero
illustrazione Lilsis.art
grafica Federico Magli
video Vladimir Bertozziproduzione Francesca Raimondi
organizzazione e logistica Shaila Chenet
comunicazione Dea Vodopi
promozione Ilaria Depari
ufficio stampa comunicattive.it
distribuzione internazionale Lisa Gilardino
una produzione Motus con TPE / Festival delle Colline Torinesi
residenze artistiche ospitate da Lavanderie a vapore Torino, Centro
nazionale di produzione della danza Virgilio Sieni, AMAT Marche
con il supporto di MiC, Regione Emilia-Romagna
Per quelle di noi che
vivono sul margine ritte sull’orlo costante della decisione ostinate e sole
(Audre Lorde, Litania per la sopravvivenza)
Alla sfera animale,
dell’incivile, del selvatico è ricondotto il talento di profetessa di
Cassandra. Nell’Orestea il corifeo paragona il suo lamento incomprensibile al
canto di un usignolo: dalla risposta della “giovane inascoltata” viene il
titolo di questa performance-grido, dove la battaglia di Cassandra è rievocata
dal corpo-voce di Stefania Tansini nei momenti che precedono la sua ingiusta
uccisione come schiava/adultera e ξένη/straniera. Un rito sciamanico dove si
fondono la stereotipica fragilità femminile e il suo spirito di vendetta
infuocato, le funeste visioni del futuro, come la prodezza animale, l’eleganza
del gesto e dello sbattere di ciglia – usignolo ibridato da piume tropicali che
si rifrange in uno spazio alterato – in dialogo con una luce mobile
(d’oltremondo?) che la insegue e la sfida. Anche il suo linguaggio oscilla,
fluido, fra lucidità e mimetismi animali che lo rendono stridore ostinato e
dolcissimo. Dopo il viaggio agli inferi, torna in superficie trasformata e
nutrita dalle larve serpentine della terra, via i piumaggi leggeri, emerge a
testa bassa pronta per continuare, perché ancora una volta, non era previsto
che noi sopravvivessimo, come scrive una combattente/Cassandra come Audre
Lorde.
DIGIUNANDO DAVANTI AL
MARE
drammaturgia Francesco
Niccolini
regia Fabrizio Saccomanno
con Giuseppe Semeraro
Vincitore Premio
“Museo Cervi Teatro per la memoria” – Festival di Resistenza 2020
Premio della Critica “Ermo Colle” 2022
La figura di
Danilo Dolci sfugge a qualsiasi tentativo di classificazione: poeta,
intellettuale, pedagogo. Dopo un breve viaggio in Sicilia decide di ritornarci
e di mettersi al fianco degli ultimi, dei diseredati, dei banditi come li
chiamava lui stesso. Negli anni cinquanta organizza e promuove tantissime
manifestazioni e scioperi in difesa dei diritti dei contadini, dei pescatori,
dei disoccupati. Il suo attivismo gli valse due candidature a premio Nobel per
la pace e il riconoscimento a livello internazionale del suo operare. Sempre in
quegli anni con i contadini progetta e realizza una radio clandestina, un
asilo, una diga, l’università popolare insieme a tanti progetti culturali.
Quello che più mi interessa in questa figura sono le sue qualità umane, il suo
grande potere comunicativo e soprattutto la fiducia che sapeva spargere attorno
a sé. Qualità che gli permisero di creare un grande movimento popolare che
sfociò nel grande “Sciopero alla rovescia”; manifestazione che rivendicava il
fatto che dei disoccupati per protesta andavano a lavorare rendendosi utili in
lavori per la collettività. Danilo Dolci voleva, con i disoccupati Siciliani,
ricordare all’Italia intera che per la Costituzione Italiana il lavoro è un
diritto ma anche un dovere se questo lavoro ha un’utilità pubblica. Durante la
manifestazione Danilo Dolci fu arrestato assieme ad alcuni collaboratori, ne
segui un processo che segnò un profondo spartiacque nell’Italia del dopoguerra.
genere: teatro di
narrazione, teatro d’attore
FESTIVAL TEATRALE DI
RESISTENZA 2020
Premio Museo Cervi –
Teatro per la Memoria – 19^ edizione
Luglio 2020, Casa Cervi – Gattatico (Reggio Emilia)
Per la 19ˆ
edizione del Festival Teatrale di Resistenza, la Giuria attribuisce il 1°
Premio allo spettacolo Digiunando davanti al mare, ideato e interpretato
da Giuseppe Semeraro della compagnia Principio Attivo Teatro, per la regia di
Francesco Saccomanno e la drammaturgia di Francesco Niccolini, con la
seguente motivazione:
– Con un neorealismo teatrale di limpida efficacia, Giuseppe Semeraro fa
rivivere l’impegno dell’intellettuale Danilo Dolci verso i derelitti della
Sicilia di settant’anni fa: dilaniata dalle macerie del dopoguerra e dalle
penetrazioni mafiose, nella sostanziale indifferenza della politica. Dolci era
uno scrittore e fine agitatore che si sporcava le mani nella quotidianità delle
persone, allo scopo di consentire a tutti l’accesso a beni essenziali quali il
cibo e l’acqua, il lavoro e la cultura. Quest’ultima vissuta come mezzo che
crea possibilità d’intense relazioni e reciproco apprendimento tra esseri
umani. Ed è proprio la sua caratura di essere umano che traluce con
comunicativa nella recitazione di Semeraro, ricorrendo alla vivacità del
dialetto e intarsiando scene d’avvolgente cifra cinematografica. Tanto da
restituirci la vicenda siciliana di Dolci nei suoi aspetti di spiazzante
creatività: in grado di sensibilizzare le coscienze e di fare sentire più
uniti tra loro gli umili ai quali è andato incontro. Un messaggio di solidale
vicinanza che risuona forte lungo questo tempo di distanziamento personale,
causa gli effetti di una tremenda pandemia.
OH SCUSA DORMIVI
di Jane Birkin
traduzione di
Alessandra Aricò (Edizioni Barbès, 2008)
con Alessandra
Vanzi e Marco Solari
collaborazione Gustavo
Frigerio | Produzione Florian Teatro – Centro Produzione Teatrale
Grazie a Artisti 7607
– Patrizia Bettini – Marcella Messina – Mario Romano – Paolo Modugno – Paola e
Alessandro (Spazio di Mezzo, Baglio d’Arte di Marausa). Per le foto ad
Andrea Cavicchioli, Piero Marsili, Marcello Mascara, Ionela Mimiteh
Negli anni ’90 Jane
Birkin scrive Oh pardon tu dormais, testo teatrale con l’andamento di un
lungo racconto, un atto unico che si sviluppa in 17 quadri nell’arco di tempo
di una notte in una camera da letto.
Una coppia che convive
da anni, in cui la donna cerca conferma di amore dal suo compagno, ma lui non
riesce a dimostrarglielo. In questa notte difficile i due si rimproverano,
lottano, si lasciano, si riuniscono, si straziano ed inteneriscono in un gioco
doppio, tra parole e azioni che a volte le contraddicono: come se un filo
parallelo al dialogo materializzasse pensieri e desideri più o meno espliciti.
Alle volte la vita di
una coppia può trasformarsi in un vero terreno di lotta. Un ring.
Rivendicazioni, insicurezze, rimproveri, debolezze, gelosie. Tutti i colpi sono
ammessi, anche i più bassi. Ma nel confronto c’è spazio anche per alcuni
momenti di dolcezza, di tenerezza.
Per osservare da fuori
questo agone niente di meglio di una scena vuota dove si disegnano i percorsi
dei due protagonisti: incroci, faccia a faccia, schivate, rifiuti,
accerchiamenti.
Un atlante
sentimentale dove ogni passo è un messaggio per l’altro, un segnale che può
essere di minaccia o di coinvolgimento. C’è spazio anche per la seduzione
naturalmente. Ma anche quella in un attimo può trasformarsi in vendetta o in un
ricatto.
C’è spazio anche per
la simulazione. I protagonisti ci sono o ci fanno? Ognuno mette in scena un
teatrino per l’altro che è complice nella finzione. Quante volte l’hanno già
fatto!
È un gioco che può
sorprenderli, che può animare la noia data dall’abitudine. Sono disillusi,
stanno invecchiando, forse non si amano più, ma hanno bisogno l’uno dell’altro.
Il confronto è crudele e il testo di Jane Birkin è asciutto, battute brevi e
secche, un ritmo implacabile che costringe i protagonisti a uno svelamento che
ci rende voyeur, che ci fa tifare per l’uno o per l’altro, ci rimanda alla
nostra vita, al nostro personale confronto con l’altro che amiamo.
Un allestimento
volutamente essenziale, una scenografia fatta di luce, per un’ora circa di
spettacolo.
Lo spettacolo ha avuto
un’anteprima nazionale il 10 settembre 2023 nella rassegna Tempora
Contempora al Convitto Palmieri di Lecce e in prima nazionale
il 14 e 15 ottobre al Florian Espace di Pescara.
Serata Ingeborg Bachmann
Lunedì da Raffaella Battaglini con la professoressa di
letteratura tedesca alla ‘Sapienza’ e accademica all'Accademia Dei Lincei Camilla Miglio e con l'attrice Federica Fracassi.
Ingeborg Bachmann, nota anche come Ruth Keller (Klagenfurt, 25 giugno 1926 – Roma, 17 ottobre 1973), è stata una poetessa, scrittrice e giornalista austriaca.
Figlia di Olga Haas e Mathias Bachmann, Ingeborg nacque
nel 1926 in Carinzia,
nel cui capoluogo, Klagenfurt, trascorse l'infanzia e l'adolescenza. Dopo i primi
studi, negli anni del dopoguerra frequentò le università di Innsbruck, Graz e Vienna dedicandosi
agli studi di giurisprudenza e successivamente in germanistica,
che concluse discutendo una tesi su (o meglio, contro) Martin
Heidegger, dal titolo La ricezione critica della filosofia
esistenziale di Martin Heidegger.
Suo maestro fu il filosofo e teoretico della scienza Victor Kraft (1890-1975), ultimo superstite
del Circolo di Vienna, da cui i membri, in
conseguenza dell'assassinio di uno di loro (Moritz
Schlick) da parte di un fanatico nazista e dell'ostilità in seguito
dimostrata dal regime politico post Anschluss,
erano dovuti fuggire. Nell'epoca dello studio ebbe modo di intrattenere
contatti diretti con Paul Celan, Ilse
Aichinger e Klaus Demus.
Presto Bachmann divenne redattrice radiofonica presso
l'emittente viennese Rot-Weiss-Rot (Rosso-Bianco-Rosso), per la quale compose
nel 1952 la
sua prima opera radiofonica, Un negozio di sogni. Il suo debutto letterario
avvenne in occasione di una lettura presso il Gruppo 47.
Da allora divenne una stella luminosa della letteratura in lingua
tedesca. Nel 1953, all'età di 27 anni, ricevette il premio letterario del
Gruppo 47 per la raccolta di poesie Il
tempo dilazionato.
In collaborazione con il compositore Hans Werner
Henze produsse il radiodramma Le
cicale e il libretto per la pantomima danzata L'idiota nel 1955 e il libretto
per l'opera Il Principe di Homburg nel 1960. Nel 1956 pubblicò la
raccolta di poesie Invocazione all'Orsa maggiore, conseguendo il Premio
Letterario della Città di Brema (Bremer Literaturpreis) e iniziando un percorso
di drammaturgia per la televisione bavarese.
Dal 1958 al 1963 Ingeborg Bachmann intrattenne una relazione con
l'autore Max Frisch. Nel 1958 apparve il
radiodramma Il buon Dio di Manhattan, insignito l'anno successivo del
Premio Audio dei Ciechi di Guerra. Del 1961 è la raccolta
di racconti Il
trentesimo anno, a sua volta insignito dal Premio per la Critica della Città di
Berlino. Nel 1964 le
viene consegnato il Premio Georg Büchner e nel 1968 il Premio
nazionale austriaco per la Letteratura.
La produzione di Ingeborg Bachmann prosegue con la
pubblicazione nel 1971 del
romanzo Malina, diventato un film di Werner
Schroeter del 1991, interpretato da Isabelle
Huppert, Mathieu Carrière e Can Togay. Il romanzo è
stato concepito come la prima parte di una trilogia chiamata "Cause di
morte" (Todesarten) rimasta incompiuta e di cui rimangono dei
frammenti: Il libro Franza e Il libro Goldmann. Dal
primo dei due frammenti, Xaver Schwarzenberger ha ricavato il
film Franza (1986).
Nel 1972 fu
invece data alle stampe l'ultima opera prima della morte di Bachmann: la
raccolta di racconti Tre sentieri per il lago, a cui venne attribuito il
Premio Anton Wildgans.
La sera del 26 settembre 1973, nella sua casa romana di via Giulia,
Ingeborg Bachmann incendiò accidentalmente la sua vestaglia di nylon con la brace
della propria sigaretta durante un attacco di torpore, verosimilmente
indotto dai barbiturici che stava assumendo come
tranquillanti per superare un periodo di stress da superlavoro. Benché vigile
al momento del trasporto all'ospedale Sant'Eugenio, struttura
specializzata nel trattamento delle ustioni, subì danni renali cui fece seguito
un'intossicazione ematica che la portarono alla morte il 17 ottobre. Ingeborg
Bachmann fu sepolta il 25 ottobre 1973 nel cimitero di Klagenfurt-Annabichl. A
lei è dedicato il concorso letterario che annualmente si tiene nella città
natale, in coincidenza della sua nascita, e l'istituto d'istruzione superiore
di Tarvisio in Friuli Venezia Giulia.
Galleria Yemanjà presenta “Omaggio a Yemanjà – La Regina del Mare”
Spettacolo folclorico brasiliano nato per festeggiare la Regina del mare
Yemanjà. La sua festa è il 2 febbraio, una delle più celebrate in Brasile.
Tanta musica che farà da sfondo alle danze tradizionali, ai canti e alla poesia
dedicati a Yemanjà . Un gruppo di artisti brasiliani vi faranno entrare in
contatto con le più profonde radici ed origini della musica e cultura
afrobrasiliana.
Regia : Edilson Araujo
Assistente regia : Monica Gori
Danza : Marcia Regina
Canto : Mariangela A Morais
Poesia : Edilson Araujo
Percussioni : Jutair Bispo dos Santos
Pisquila & Neney
Berimbao : Prof. Baiano
Grupo di Capoeira : Cadencia de Bimba
Foto : Solange Souza
Siamo noi Gruppo di Teatro
RomaNegra
omaggio a
Yemanja 2024 candombless
Yemanja by Marcia Regina
Paola Franceschelli
Nadia Laura Gisele Garcia
I fantastici 14
Beatriz Ballerin
“Il quarto dito di Clara”
Scritto e diretto da Luca
Archibugi, protagonisti Pippo Di Marca e Veronica Zucchi
L’evento teatrale “Il quarto dito di Clara” è ispirato alla vita
e all’opera di Robert e Clara Schumann e al progressivo scivolamento del grande
musicista – che alcuni ritengono “il più grande di tutti i tempi” – nella
follia, a causa di disturbi nervosi provocati forse dalla sifilide,
dall’alcolismo, o da un grave disturbo bipolare, il tutto unito a una
melanconia senza rimedio. Robert si fascia l’anulare della mano destra per un
lungo periodo, nell’intento di rafforzarlo, ma il quarto dito rimane
semiparalizzato.
Non
gli resta – come ripiego paradossale – che la composizione. Nel titolo, il
quarto dito è quello di Clara: l’autore e regista, infatti, crea
un’identificazione fra Robert e Clara Schumann. Nell’opera, accanto a Robert
Schumann, emerge una gigantesca figura di donna, Clara Wieck: grande pianista –
la più celebre dell’Ottocento – divenuta moglie di Robert, dopo un tormentato
amore osteggiato dal padre di lei. Dopo le vessazioni del padre, una volta
divenuta moglie, non terminano per lei frustrazioni e dolori. Le viene impedito
di suonare il pianoforte quando Schumann compone, di andare in tournée, di dare
concerti – ha otto figli – e quando riesce ugualmente ad allontanarsi, il
marito si fa prendere dalla malinconia e si dà al bere.
Robert
viene internato in manicomio e due anni dopo, senza che Clara, che intanto vive
sotto lo stesso tetto di Johannes Brahms, sia mai andata a trovarlo, si lascia
morire di inedia. Per gli storiografi, a tutt’oggi, è assai improbabile che la
relazione fra Clara Schumann e Johannes Brahms fosse altro che platonica. In
questa rappresentazione l’unione di Robert e Clara appare come una sorta di
unione mistica. “Il mio personaggio” – spiega una dei due protagonisti,
Veronica Zucchi (Clara/Robert), in una recente intervista – è quello di una
anonima paziente psichiatrica che ritiene di essere Robert e Clara insieme:
vive come ingabbiata in una sorta di amore cristallizzato, esclusivo, che però
non è solo una prigione, ma è soprattutto una salvezza, un’illusione salvifica.
Ad
un certo punto, lo psichiatra che l’ha in cura, Secondo Filetti (Pippo Di
Marca), sprofonderà anch’egli in un’illusione di bellezza eterna: “Quel grande
amore che lei si è addossata sfida il deperimento, la caducità, e lei, insieme,
porta i due amanti in salvo, liberati dal fardello di una vita troppo breve. Io
non riesco a guardarla e a rimanere passibile. Lei ha ragione, vorrei
sprofondare anch’io in questa illusione (…) E che tutti diventino Clara e
Robert, l’amore, l’amicizia, il conforto”. Ecco, da un lato l’autore e regista
Luca Archibugi ha voluto restituire l’eccezionalità di questo amore;
dall’altro, tutto il testo è almeno doppio, raddoppiato o, addirittura,
triplicato: Clara è anche Robert e l’anonima paziente; lo psichiatra Secondo Filetti
è anche – per Clara/Robert – Franz Richarz, lo psichiatra che ebbe in cura
Robert Schumann nel manicomio di Endenich.
Teatro Tordinona 26
Gennaio 2024
Così per caso
Liberinarte chiama le
scuole a teatro! Lo spettacolo liberamente tratti dal libro di Marta Ascoli
Auschwitz è di tutti, visto da oltre 2000 studenti dal suo debutto ad oggi,
ricorda la tragedia vissuta da una famiglia, dal popolo ebraico, dall’umanità
intera: e, con la forza di un grido, spiega che Auschwitz è di tutti,
luogo-simbolo della più grande ferita aperta nella storia del Novecento.