La Pelanda 9 Settembre 2017 - Short Theatre
GWENDOLINE ROBIN | Cratère N°6899
gwendolinerobin.be
ideazione e realizzazione | Gwendoline Robin
assistenza coreografica | Ida De Vos
luci | Simon Siegmann
produzione associata | Entropie Production
co -prodotto da | KUnstenfestivaldesarts, BRASS
con l’accompagnamento di | Grandstudio
grazie a | Teatro di Liegi, A Day in Caveland di Philippe Quesne, l’astronomo Yael Naze e gli oceanologhi Bruno Delille e Jean-Louis Tison
foto | Jorge De la Torre Castro
La Pelanda 9 Settembre 2017 - Short TheatreGWENDOLINE ROBIN | Cratère N°6899
gwendolinerobin.be
ideazione e realizzazione | Gwendoline Robin
assistenza coreografica | Ida De Vos
luci | Simon Siegmann
produzione associata | Entropie Production
co -prodotto da | KUnstenfestivaldesarts, BRASS
con l’accompagnamento di | Grandstudio
grazie a | Teatro di Liegi, A Day in Caveland di Philippe Quesne, l’astronomo Yael Naze e gli oceanologhi Bruno Delille e Jean-Louis Tison
foto | Jorge De la Torre Castro
Una cometa cade sulla terra. Si forma un cratere. Ne derivano effetti di trasformazione. Il paesaggio muta. Il paesaggio si forma. In Cratère N°6899 la Robin si avvicina all’elemento acqua, permettendosi e permettendoci così uno sguardo sul Pianeta Terra e sull’Universo. Con l’aiuto del pensiero scientifico, in particolare quello astronomico e geologico, con la possibilità di guardare ai confini dell’universo e nelle pieghe della terra, possiamo stabilire un contatto con la costellazione celeste e con la superficie terrestre. Manipolando elementi fisici e chimici come terra, acqua dinamite, vento, polveri colorate, vetro, Gwendoline Robin, si mette direttamente in relazione alla materia, agendo su di essa e con essa. Una performance che si compone di azioni che sanno tanto di immaginifico che di artigianale e che disegnano un’atmosfera primordiale fatta di magma, terra e materia stellare, in cui l’esperimento scientifico si confonde con l’operazione alchemica, con la pozione magica. Cratère N°6899 ricrea artificialmente tutto il mistero potente e fragile dell’origine della terra e della vita, accompagnando lo spettatore in un viaggio nel tempo e nello spazio, che in fondo è anche un viaggio dentro la nostra stessa natura. Ricostruire piccoli paesaggi che raccontino la disposizione di storie visive e acustiche che raccontano e insieme modificano il paesaggio stesso: questo è l’esperimento della Robin, che ha immaginato e costruito la performance a partire da un primo incontro nel febbraio del 2016 con l’astronomo Yael Naze e lo scienziato marino Bruno Delille.
GWENDOLINE ROBIN | Cratère N°6899
gwendolinerobin.be
ideazione e realizzazione | Gwendoline Robin
assistenza coreografica | Ida De Vos
luci | Simon Siegmann
produzione associata | Entropie Production
co -prodotto da | KUnstenfestivaldesarts, BRASS
con l’accompagnamento di | Grandstudio
grazie a | Teatro di Liegi, A Day in Caveland di Philippe Quesne, l’astronomo Yael Naze e gli oceanologhi Bruno Delille e Jean-Louis Tison
foto | Jorge De la Torre Castro
Una cometa cade sulla terra. Si forma un cratere. Ne derivano effetti di trasformazione. Il paesaggio muta. Il paesaggio si forma. In Cratère N°6899 la Robin si avvicina all’elemento acqua, permettendosi e permettendoci così uno sguardo sul Pianeta Terra e sull’Universo. Con l’aiuto del pensiero scientifico, in particolare quello astronomico e geologico, con la possibilità di guardare ai confini dell’universo e nelle pieghe della terra, possiamo stabilire un contatto con la costellazione celeste e con la superficie terrestre. Manipolando elementi fisici e chimici come terra, acqua dinamite, vento, polveri colorate, vetro, Gwendoline Robin, si mette direttamente in relazione alla materia, agendo su di essa e con essa. Una performance che si compone di azioni che sanno tanto di immaginifico che di artigianale e che disegnano un’atmosfera primordiale fatta di magma, terra e materia stellare, in cui l’esperimento scientifico si confonde con l’operazione alchemica, con la pozione magica. Cratère N°6899 ricrea artificialmente tutto il mistero potente e fragile dell’origine della terra e della vita, accompagnando lo spettatore in un viaggio nel tempo e nello spazio, che in fondo è anche un viaggio dentro la nostra stessa natura. Ricostruire piccoli paesaggi che raccontino la disposizione di storie visive e acustiche che raccontano e insieme modificano il paesaggio stesso: questo è l’esperimento della Robin, che ha immaginato e costruito la performance a partire da un primo incontro nel febbraio del 2016 con l’astronomo Yael Naze e lo scienziato marino Bruno Delille.
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