Angelo Mai 17 novembre 2016
Balletto Civile
Killing Desdemona
liberamente tratto da Otello di W. Shakespeare
ideazione Michela Lucenti e Maurizio Camilli
regia e coreografia Michela Lucenti
assistente alla regia Enrico Casale
musica originale eseguita dal vivo Jochen Arbeit (Einstürzende Neubauten)
interpretato e creato da Fabio Bergalio, Maurizio Camilli, Andrea Capaldi, Ambra Chiarello, Michela Lucenti, Demian Troiano, Natalia Vallebona
scene Alessandro Ratti
costumi Chiara Defant
disegno luci Stefano Mazzanti
suono Tiziano Scali
acting coach Francesco Origo
organizzazione Andrea Cerri
una produzione Balletto Civile
coprodotto da Festival delle Colline Torinesi, Ravello Festival, Neukoellner Oper Berlin, Compagnia Gli Scarti
con il sostegno di Mare Culturale Urbano, CTB Centro Teatrale Bresciano, Festival Resistere e Creare, Centro Dialma Ruggiero-FuoriLuogo
Io lavoro tra le crepe, dove la voce inizia a danzare, dove il corpo inizia a cantare, dove il teatro diventa cinema
(Meredith Monk)
Uccidendo il mistero. La poesia dell’amore è fragilissima, per noi è canto, gesto.
Il discorso non c’entra e quando arriva distrugge il mistero, cerca di spiegarlo di dipanare i suoi rivoli più profondi.
Cerchiamo di razionalizzare ciò che per essenza è irrazionale, quello che lega due persone, ciò che per definizione è intangibile. E che cosa ci definisce puri se non l’essere incorruttibili sul nostro profondo sentire. Quando lo spazio privato, intimo diventa pubblico, lì il nostro io profondo deve essere difeso preservato.
Otello sente con forza ed è questo che lo rende affascinante, ma è troppo fragile nel difendere quello che ama, che sente, ha paura di essere ingannato soprattutto da se stesso, vive in pieno l’insicurezza occidentale, che destruttura ogni antica certezza.
Jago è un conquistatore, entra a gamba tesa sul terreno fragile, entra per distruggere per disilludere. È un one man show senza quarta parete, il suo spazio ė il proscenio (dove tra l’altro lo colloca da libretto anche Boito nella versione Verdiana), dialoga con il pubblico, è il tramite, il veicolo che cerca di far intendere, è lui che crea la possibilità della storia.
Jago distrugge il mistero, prepara con lunga gettata la parabola di uccisione di Desdemona, malgrado le menzogne, rimane sempre se stesso, nascondendosi dietro la maschera della normalità e della correttezza, solo negli a parte gli spettatori vedono la sua vera natura, in un work in progress simile a quello di un artista, dove si trasformerà con disinvoltura in uno straordinario, intelligente improvvisatore, portando alle estreme conseguenze il suo individualismo, fino a trasformare l’etica in estetica del male.
Desdemona è appunto il mistero, l’intangibilità del corpo di Desdemona che corrisponde alla sua purezza è l’unica risposta che il dramma può offrire di fronte all’incalzare del caos.
Tutti i personaggi maschili, anche Roderigo, lo stesso Cassio, vogliono esercitare il loro potere su Desdemona e sul suo corpo. Niente di più attuale direi.
Solo una solidarietà femminile nei gesti quotidiani, il semplice accudire come contenitore di senso al di là delle parole, questo le donne lo sanno fare. Questa come unica sapienza antica nostro malgrado.
La nostra Venezia avrà pochi elementi a segnare uno spazio metafisico, tutto è aperto, condiviso, non ci sono altro che corpi in relazione che non possono difendersi né nascondersi, poi ci sarà il proscenio come una ribalta da commedia dell’arte, che sarà percorso da un veneto vero e proprio che saprà parlare senza mezzi termini di quello che tiene in piedi questo nostro paese, i soldi, e lo farà solo attraverso le parole di Shakespeare.
Il ritmo non si allenterà non importa se si ride o si piange, tutto deve continuare alla luce del sole.
Per noi non è mettere in scena il dramma della gelosia, ma l’interruzione di una sensibilità altra, poetica, fisica, musicale, femminile.
Una sensibilità che è difficile spiegare, che sta all’origine del mistero e dell’atto vero e proprio del creare, che produrrà sempre azioni di distruzione da parte del mondo maschile che lotta per comprenderla, per possederla, che quando non può averla la annienta.
Un cast per lo più al maschile intorno ad una fragilissima donna, che con la forza di un usignolo, una simil Edith Piaf, è forte nel difendere sino in fondo la sua purezza di senso, solo con un canto che urla al mondo il suo diritto di esistere.
Un manifesto di libertà creativa femminile a partire dall’esistere.
Una partitura musicale tutta dal vivo scritta ed eseguita dal compositore Berlinese Jochen Arbeit (chitarrista e compositore degli Einstürzende Neubauten e degli Automat) maestro del noise elettronico contemporaneo, che tenderà un filo dall’inizio alla fine, per portare lo spettatore dal sogno alla rottura.