Teatro Tordinona
Sabato 19 settembre ore 21.00
Domenica 20 settembre ore 18.00
Miracoli
Le vicende e le traiettorie esistenziali di “Miracoli” nascono dalla umana, e pur tuttavia assurda, idea che possa essere qualcuno, o qualcosa, a sgravarci dai fardelli della quotidianità e dai fantasmi che coltiviamo nell’animo.
Salvo poi scoprire che il mondo a cui quell’idea ci introduce è un concentrato di inimmaginabile sofferenza e di continue, sanguinose, cadute. E di ricadute, per usare un termine clinico così drammaticamente comune a tante storie di dipendenza.
“Miracoli!” è il prodotto di un intenso laboratorio a cui hanno partecipato, sotto la supervisione degli ideatori del progetto denominato “Fuori dal Giro”, i giovani ospiti della Comunità di recupero per tossicodipendenti AIVA di Nettuno (Roma).
Ciò che vi si rappresenta è, pertanto, ispirato alle narrazioni autobiografiche emerse in seno al Laboratorio e che hanno poi costituito il motore degli esercizi teatrali veri e propri.
Si tratta di storie che decisamente inducono a ripensare al concetto della “realtà che supera la finzione”. In cui i ricordi portano a infanzie di stenti e paure, a rapporti regolati solo dall’opportunismo o dalla disperazione, a luoghi angusti dove ci si sente soli, poveri, reietti. In cui l’abuso di sostanze e la dipendenza – intesa come perdita della capacità di scegliere e di desiderare – sono alla base di eventi eccezionali e memorabili (ergo, straordinariamente teatrali), ma che chiunque, se potesse, farebbe a meno di vivere.
Ciascuno le ha raccontate – e ascoltate - ridendo e piangendo, emozionandosi e certe volte provando a “scappare”, perché magari dilaniati dal dolore che si sprigiona quando si va a toccare certe cicatrici, o più banalmente perché le cose intime è complicato condividerle, e le si regala agli altri solo a prezzo di pudore e imbarazzi. Ma poi quelle vicende sono diventate patrimonio di un gruppo, che ha voluto (divertendosi!) romanzarle e adattarle al linguaggio teatrale. Che le ha portate, diremmo “alle estreme conseguenze” spettacolari, rendendo quindi certi contenuti finalmente filtrabili/trattabili attraverso i più vari registri: il grottesco, il tragico, il comico. Per poi, alla fine, ripescare nella memoria, come naturale contrappunto al dolore, anche fugaci momenti di gioia, concreti segnali di speranza, importanti progetti di rinascita.
È in questo senso che crediamo che il teatro possa ritenersi davvero terapeutico. Non perché guarisca malattie o azzeri debolezze e limiti. Non perché ci metta al sicuro da nuove rovinose cadute. Ma perché quelle cadute può insegnarci a guardarle negli occhi e a non viverle come inesorabili fallimenti, bensì come la parte di un tutto, la vita, che improvvisamente può stupirci con la bellezza e la poesia, a patto che si sia abbastanza lucidi da non lasciarsele scappare.
22.10.15
Teatro
Miracoli
Le vicende e le traiettorie esistenziali di “Miracoli” nascono dalla umana, e pur tuttavia assurda, idea che possa essere qualcuno, o qualcosa, a sgravarci dai fardelli della quotidianità e dai fantasmi che coltiviamo nell’animo.
Salvo poi scoprire che il mondo a cui quell’idea ci introduce è un concentrato di inimmaginabile sofferenza e di continue, sanguinose, cadute. E di ricadute, per usare un termine clinico così drammaticamente comune a tante storie di dipendenza.
“Miracoli!” è il prodotto di un intenso laboratorio a cui hanno partecipato, sotto la supervisione degli ideatori del progetto denominato “Fuori dal Giro”, i giovani ospiti della Comunità di recupero per tossicodipendenti AIVA di Nettuno (Roma).
Ciò che vi si rappresenta è, pertanto, ispirato alle narrazioni autobiografiche emerse in seno al Laboratorio e che hanno poi costituito il motore degli esercizi teatrali veri e propri.
Si tratta di storie che decisamente inducono a ripensare al concetto della “realtà che supera la finzione”. In cui i ricordi portano a infanzie di stenti e paure, a rapporti regolati solo dall’opportunismo o dalla disperazione, a luoghi angusti dove ci si sente soli, poveri, reietti. In cui l’abuso di sostanze e la dipendenza – intesa come perdita della capacità di scegliere e di desiderare – sono alla base di eventi eccezionali e memorabili (ergo, straordinariamente teatrali), ma che chiunque, se potesse, farebbe a meno di vivere.
Ciascuno le ha raccontate – e ascoltate - ridendo e piangendo, emozionandosi e certe volte provando a “scappare”, perché magari dilaniati dal dolore che si sprigiona quando si va a toccare certe cicatrici, o più banalmente perché le cose intime è complicato condividerle, e le si regala agli altri solo a prezzo di pudore e imbarazzi. Ma poi quelle vicende sono diventate patrimonio di un gruppo, che ha voluto (divertendosi!) romanzarle e adattarle al linguaggio teatrale. Che le ha portate, diremmo “alle estreme conseguenze” spettacolari, rendendo quindi certi contenuti finalmente filtrabili/trattabili attraverso i più vari registri: il grottesco, il tragico, il comico. Per poi, alla fine, ripescare nella memoria, come naturale contrappunto al dolore, anche fugaci momenti di gioia, concreti segnali di speranza, importanti progetti di rinascita.
È in questo senso che crediamo che il teatro possa ritenersi davvero terapeutico. Non perché guarisca malattie o azzeri debolezze e limiti. Non perché ci metta al sicuro da nuove rovinose cadute. Ma perché quelle cadute può insegnarci a guardarle negli occhi e a non viverle come inesorabili fallimenti, bensì come la parte di un tutto, la vita, che improvvisamente può stupirci con la bellezza e la poesia, a patto che si sia abbastanza lucidi da non lasciarsele scappare.