Colosseo Nuovo Teatro 19 novembre 2011 "LINEE GUIDA SULLA FEROCIA" di Vincenzo Latronico. Regia e musiche di Franco Eco. Con Marco Venienti, Carlotta Piraino, Francesco Cutrupi, Luca Di Giovanni e Francesco D'Antonio. Costumi di Lucrezia Farinella Scene di Ciro Natalizio Paduano. 'Linee guida sulla ferocia' è un testo teatrale che parla, in senso ampio, di lavoro. Gli uffici sono, nella sostanza, tutti uguali, e questo li rende mostruosi. L'ufficio è uno spazio con finalità  proprie, i cui abitatori sono al meglio tollerati e, al peggio, mobilio o strumenti d'uso. In questo particolare luogo i lavoratori saranno costretti a vivere per due settimane. L'ufficio, questo ufficio, è un luogo di dovere. Un perenne dubbio di falsità  spiega le reticenze e le oscillazioni emotive dei personaggi, il loro essere così chiusi gli uni con gli altri e così aperti con il pubblico. Non sono false come confessioni, ma come le pagine di un diario. Sentono il bisogno di farlo, di aprirsi mentendo, come reazione al peso impossibile di questo ruolo di umani fuori contesto, per portare una traccia di sè in un posto impermeabile alle tracce. Carla e Donato sono personaggi quasi da commedia. Donato è sulla quarantina, e in altri tempi avrebbe avuto il portamento del travet, le mezze maniche; oggi, più facilmente, il blackberry. è in sedia a rotelle, ma non è questo a renderlo così lamentoso: gli sembra naturale, essere in serie B. Fa molto poco per sfuggire allo stereotipo del fannullone parcheggiato in una struttura aziendale troppo grossa per stanare la sua letargia, ma in realtà  ha qualcosa di molto attento, un fare manipolatorio che la pancia, la voce stanca potrebbero far passare inosservato. è condannato sin dall'inizio: ma è una condanna che sente di non voler impugnare. Tutti questi dati di carattere potrebbero far impallidire Carla, che di carattere in fondo non ne ha ancora. Mantiene le cose semplici, parla lentamente, le sembra l'unico modo per scavarsi una strada che sia la sua, quale che essa sia. è molto dolce, in questo. La sua mancanza di qualità  è ciò che la fa andare avanti, e che le rende così facile conquistarsi le simpatie - tutta quella semplicità . I suoi piccoli giochi di avvicinamento ed abbandono non sono voltafaccia o manipolazioni, sono gli scarti di un salmone che impara a risalire la corrente. Ma che senso avrebbe pensare che lo faccia per una ragione diversa dallo spirito della collettività, o del tempo. Alfredo e il Domatore, in un certo senso, hanno qualcosa di più tragico. Ci sono delle persone che perderanno ogni mano di poker anche con le carte migliori del tavolo, e nelle sue poche esperienze Alfredo ha imparato di essere uno di loro. Ha imparato che le carte non bastano, e la sua ostinazione ad apparire vincitore e brillante è solo il compenso che ritiene di meritarsi per la predestinazione alla sconfitta. E quel domatore, quel domatore? è spietato e sensuale, come un domatore. Oltre alla frusta appesa a un passante come Indiana Jones, ha qualcosa di irrisolto, dentro di sè. Per conservare un'immagine trascorsa, se quell'ufficio fosse uno shotgun wedding il domatore sarebbe il padre della sposa, che è il primo artefice della situazione ma anche quello che la vive con il maggior dolore - con un dolore paragonabile, seppure opposto, a quello della sposa, che potremmo supporre essere Carla. è l'unico che abbia consapevolezza dell'assurdità  di quanto sta accadendo, ed è una consapevolezza terribile, perchè è in mano a chi è costretto a farlo accadere comunque. Forse è per questo che è così brutale. Si sente mancare la terra sotto i piedi, lo sa che alla fine perderà  anche lui. Ma allora perchè lo fa? Perchè non potrebbe fare altrimenti.