PROFANAZIONI - (05/12/14)


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CENTRALE PRENESTE TEATRO 27 28 29 aprile 2012 "PROFANAZIONI - Trittico dello Spaesamento (1° quadro il minotauro)" Ideazione, drammaturgia e regia Roberta Nicolai, con Michele Baronio e Enea Tomei. Costumi e scene Andrea Grassi, Disegno sonoro Gianluca Stazi, Disegno luci Roberta Nicolai, Video a cura di Adriano Mestichella, In video Katia Caselli, Manuela Miscioscia, Scenotecnica Claudio Petrucci, Amoni Vacca, Sartoria Atelier Nove. Produzione: Chantier TEMPS D'IMAGES 2010/Romaeuropa, OFFicINa1011 triangolo scaleno teatro, in collaborazione con Residenza Teatro Misa_Comune di Arcevia Progetto Habitateatro AMAT e Teatro Furio Camillo_Roma. L'intimità con una zona di non-conoscenza è una pratica mistica quotidiana, in cui Io, in una sorta di speciale, gioioso esoterismo, assiste sorridendo al proprio sfacelo. (Agamben, Profanazioni). Lo spettacolo prende le mosse dall'omonimo libro di Giorgio Agamben. L'urgenza espressiva e la materia su cui lavora la Nicolai sono l'identità dell'individuo, la sua frantumazione, la percezione di sé all'interno dell'archivio fisico ed emotivo. Due in scena. Sono Uno e Lo stesso. Due corpi, duplicazione di un unico essere. Entrambi sono l'originale. Entrambi sono motore di azioni, gesti, coincidenze, gioco, regole e invenzioni. Entrambi sono la creatura che si sveglia in un presente inafferrabile. Ognuno vede sé nell'altro. In fondo ad un corridoio, nell'angolo di una porta, nel vuoto di una stanza. Si riconosce da sguardi incerti. La creatura cerca la sua identità attraverso la relazione con se stessa. Un universo maschile in cui il corpo è unico dato reale presente. La loro relazione è un movimento e il movimento costruisce la casa, un labirinto continuamente modificato. La potenza delle azioni obbligano il corpo ad esporsi, espandersi, arrivare al limite della forza. Materia scenica è il corpo vivo in relazione a corpi opachi, sette materassi. Tutto ciò che chiamiamo realtà è in video. Una torta di compleanno, un prato, una fanciulla addormentata e poi foto di famiglia, una madre, un bambino sono le immagini di un'esistenza che cerca di tirare i fili di se stessa. Galleggiano. Sono ricordi, desideri inesauditi. Sono il mondo. La realtà è un artificio tecnico che non si lascia usare del tutto. Per catturarla c'è bisogno della materia, di una superficie chiara che la scovi e la contenga. Una materia intima e privata, come la superficie di un materasso. È possibile rispondere alla domanda - chi sono? soltanto con la pratica. E questa pratica è la scena. Le azioni della scena sono la traccia materiale del rapporto di un uomo con se stesso. Il labirinto è la sua griglia di esperienza, il luogo dove incontra se stesso immaginando di relazionarsi con un altro se stesso. La percezione che ognuno ha di sé è parziale. Da una parte la piccola sponda del conosciuto. Al di là di quel limite, troppo vicino, l'abisso di ciò che non conosce, l'impersonale. Procedere oltre il limite è affascinante e pericoloso, si può incontrare la propria storia. Si può incontrare la figura che ci supera e ci eccede, il simbolo dell'unicità individuale, il Minotauro, mito in cui ogni uomo può vedere riflessa, nella figura ambigua e doppia, la propria arrogante presunzione di unicità e l'inafferrabilità dell'immagine che ha di se stesso. L'uomo contemporaneo è una soglia, tra conoscenza e ignoranza di sé. Di sé sa ormai troppo e niente. Sillaba la realtà, dà nome alle cose. E ogni più piccola esperienza è il primo movimento, la prima parola di un'indagine che si deve pensare in un remoto passato per poter muovere fragili passi in un futuro tutto da immaginare.

CENTRALE PRENESTE TEATRO 27 28 29 aprile 2012 "PROFANAZIONI - Trittico dello Spaesamento (1° quadro il minotauro)" Ideazione, drammaturgia e regia Roberta Nicolai, con Michele Baronio e Enea Tomei. Costumi e scene Andrea Grassi, Disegno sonoro Gianluca Stazi, Disegno luci Roberta Nicolai, Video a cura di Adriano Mestichella, In video Katia Caselli, Manuela Miscioscia, Scenotecnica Claudio Petrucci, Amoni Vacca, Sartoria Atelier Nove. Produzione: Chantier TEMPS D'IMAGES 2010/Romaeuropa, OFFicINa1011 triangolo scaleno teatro, in collaborazione con Residenza Teatro Misa_Comune di Arcevia Progetto Habitateatro AMAT e Teatro Furio Camillo_Roma. L'intimità con una zona di non-conoscenza è una pratica mistica quotidiana, in cui Io, in una sorta di speciale, gioioso esoterismo, assiste sorridendo al proprio sfacelo. (Agamben, Profanazioni). Lo spettacolo prende le mosse dall'omonimo libro di Giorgio Agamben. L'urgenza espressiva e la materia su cui lavora la Nicolai sono l'identità dell'individuo, la sua frantumazione, la percezione di sé all'interno dell'archivio fisico ed emotivo. Due in scena. Sono Uno e Lo stesso. Due corpi, duplicazione di un unico essere. Entrambi sono l'originale. Entrambi sono motore di azioni, gesti, coincidenze, gioco, regole e invenzioni. Entrambi sono la creatura che si sveglia in un presente inafferrabile. Ognuno vede sé nell'altro. In fondo ad un corridoio, nell'angolo di una porta, nel vuoto di una stanza. Si riconosce da sguardi incerti. La creatura cerca la sua identità attraverso la relazione con se stessa. Un universo maschile in cui il corpo è unico dato reale presente. La loro relazione è un movimento e il movimento costruisce la casa, un labirinto continuamente modificato. La potenza delle azioni obbligano il corpo ad esporsi, espandersi, arrivare al limite della forza. Materia scenica è il corpo vivo in relazione a corpi opachi, sette materassi. Tutto ciò che chiamiamo realtà è in video. Una torta di compleanno, un prato, una fanciulla addormentata e poi foto di famiglia, una madre, un bambino sono le immagini di un'esistenza che cerca di tirare i fili di se stessa. Galleggiano. Sono ricordi, desideri inesauditi. Sono il mondo. La realtà è un artificio tecnico che non si lascia usare del tutto. Per catturarla c'è bisogno della materia, di una superficie chiara che la scovi e la contenga. Una materia intima e privata, come la superficie di un materasso. È possibile rispondere alla domanda - chi sono? soltanto con la pratica. E questa pratica è la scena. Le azioni della scena sono la traccia materiale del rapporto di un uomo con se stesso. Il labirinto è la sua griglia di esperienza, il luogo dove incontra se stesso immaginando di relazionarsi con un altro se stesso. La percezione che ognuno ha di sé è parziale. Da una parte la piccola sponda del conosciuto. Al di là di quel limite, troppo vicino, l'abisso di ciò che non conosce, l'impersonale. Procedere oltre il limite è affascinante e pericoloso, si può incontrare la propria storia. Si può incontrare la figura che ci supera e ci eccede, il simbolo dell'unicità individuale, il Minotauro, mito in cui ogni uomo può vedere riflessa, nella figura ambigua e doppia, la propria arrogante presunzione di unicità e l'inafferrabilità dell'immagine che ha di se stesso. L'uomo contemporaneo è una soglia, tra conoscenza e ignoranza di sé. Di sé sa ormai troppo e niente. Sillaba la realtà, dà nome alle cose. E ogni più piccola esperienza è il primo movimento, la prima parola di un'indagine che si deve pensare in un remoto passato per poter muovere fragili passi in un futuro tutto da immaginare.
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