Teatro Colosseo 1993 "I GUARDIANI DI PORCI" di Mauro Marsili e Claudio Corbucci, con Giampiero Ingrassia, Franco Mannella, Tullio Sorrentino, Guido Venitucci, Antonio Tallura, Claudia Cavalcanti, Tony Scarf, regia di Mauro Marsili e Claudio Corbucci. Scene di Fabrizio De Luca. Costumi di Chiara Valentini. Luci di Paolo Maroci. Musiche di Maurizio Boco e Silvano Melgiovanni. Quattro agenti di scorta, un pentito di Cosa nostra. Un bunker nascosto chissà dove tra i palazzi della Capitale e un'attesa di ventiquattro ore, prima di ricevere istruzioni circa il percorso da seguire per condurre il detenuto fino al Palazzo di Giustizia. L'azione si svolge per intero in una stanza. Ad accentuare l'aspetto claustrofobico della situazione, si insinua tra i poliziotti un atroce sospetto, che diviene man mano quasi una certezza: fra loro c'è un traditore, una soffiata rischia di mettere a repentaglio la sicurezza dell' intera spedizione. "Nella scrittura e nell' allestimento dello spettacolo abbiamo seguito alcune ispirazioni di stampo cinematografico, in particolare nell'attenerci a un certo naturalismo, a una veridicità  che i film del genere spesso offrono", spiega Claudio Corbucci. "Rispetto a opere come ad esempio "La scorta", però, più che puntare sulla descrizione della condizione dei poliziotti o su un approccio cronachistico all'argomento, abbiamo privilegiato l'intreccio. Non pretendiamo di indagare a fondo sul dramma umano dell' agente che rischia la pelle ogni giorno; lo prendiamo semmai a pretesto per raccontare una storia". "Prima di incominciare le prove, quando lo spettacolo fu messo in scena, ci siamo documentati andando a parlare con alcuni agenti del Primo commissariato di zona di piazza Venezia", racconta Giampiero Ingrassia. "Ci spiegarono come si fa irruzione in un bunker o come si impugna correttamente una pisola, ma anche qual è lo stato d' animo di chi si trova ad affrontare una sparatoria. Chi ne aveva avuto esperienza ci spiegò che, pur mantenendo la freddezza, in quei momenti aveva provato la sensazione di vedersi dal di fuori, come fosse spettatore di se stesso". Nello spettacolo Ingrassia è il capo scorta, reduce dall' essersi implicato in un guaio per coprire un superiore, quindi desideroso di riscatto. Alla sua vicenda privata si intreccia quella di uno dei colleghi, marito di quella che un tempo era la sua fidanzata e sempre a corto di denaro. Il terzo e' il Pinguino, così chiamato perché fresco di accademia (dal bianco e nero della divisa dei cadetti) mentre a completare la squadra ci pensa un fanatico violento che sembra rifarsi a modelli d'oltreoceano. Osserva Claudio Corbucci: "Studiandoli da vicino, abbiamo notato che molti agenti almeno nelle intenzioni si accostano a uno stereotipo che è quello offerto dalla cinematografia americana, per intenderci, sullo stile di "Arma letale".
Teatro Colosseo 1993 "I GUARDIANI DI PORCI" di Mauro Marsili e Claudio Corbucci, con Giampiero Ingrassia, Franco Mannella, Tullio Sorrentino, Guido Venitucci, Antonio Tallura, Claudia Cavalcanti, Tony Scarf, regia di Mauro Marsili e Claudio Corbucci. Scene di Fabrizio De Luca. Costumi di Chiara Valentini. Luci di Paolo Maroci. Musiche di Maurizio Boco e Silvano Melgiovanni. Quattro agenti di scorta, un pentito di Cosa nostra. Un bunker nascosto chissà dove tra i palazzi della Capitale e un'attesa di ventiquattro ore, prima di ricevere istruzioni circa il percorso da seguire per condurre il detenuto fino al Palazzo di Giustizia. L'azione si svolge per intero in una stanza. Ad accentuare l'aspetto claustrofobico della situazione, si insinua tra i poliziotti un atroce sospetto, che diviene man mano quasi una certezza: fra loro c'è un traditore, una soffiata rischia di mettere a repentaglio la sicurezza dell' intera spedizione. "Nella scrittura e nell' allestimento dello spettacolo abbiamo seguito alcune ispirazioni di stampo cinematografico, in particolare nell'attenerci a un certo naturalismo, a una veridicità  che i film del genere spesso offrono", spiega Claudio Corbucci. "Rispetto a opere come ad esempio "La scorta", però, più che puntare sulla descrizione della condizione dei poliziotti o su un approccio cronachistico all'argomento, abbiamo privilegiato l'intreccio. Non pretendiamo di indagare a fondo sul dramma umano dell' agente che rischia la pelle ogni giorno; lo prendiamo semmai a pretesto per raccontare una storia". "Prima di incominciare le prove, quando lo spettacolo fu messo in scena, ci siamo documentati andando a parlare con alcuni agenti del Primo commissariato di zona di piazza Venezia", racconta Giampiero Ingrassia. "Ci spiegarono come si fa irruzione in un bunker o come si impugna correttamente una pisola, ma anche qual è lo stato d' animo di chi si trova ad affrontare una sparatoria. Chi ne aveva avuto esperienza ci spiegò che, pur mantenendo la freddezza, in quei momenti aveva provato la sensazione di vedersi dal di fuori, come fosse spettatore di se stesso". Nello spettacolo Ingrassia è il capo scorta, reduce dall' essersi implicato in un guaio per coprire un superiore, quindi desideroso di riscatto. Alla sua vicenda privata si intreccia quella di uno dei colleghi, marito di quella che un tempo era la sua fidanzata e sempre a corto di denaro. Il terzo e' il Pinguino, così chiamato perché fresco di accademia (dal bianco e nero della divisa dei cadetti) mentre a completare la squadra ci pensa un fanatico violento che sembra rifarsi a modelli d'oltreoceano. Osserva Claudio Corbucci: "Studiandoli da vicino, abbiamo notato che molti agenti almeno nelle intenzioni si accostano a uno stereotipo che è quello offerto dalla cinematografia americana, per intenderci, sullo stile di "Arma letale".
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