Didone, Bernardone e altre sciagure - (18/12/14)


CANALE:

Teatro Piccolo Re di Roma dal 18 al 20 novembre 2011 “Didone, Bernardone e altre sciagureâ€? Di e con: Pierfrancesco Ambrogio, Musiche: Salvatore Zambataro â€" fisarmonica, Remo Izz â€" sax tenore, Marco Turriziani - contrabbasso e chitarra, Paolo Margutta â€" percussioni. Dissertazione sul tema del tradimento sia dal punto di vista di chi è tradito che di chi tradisce. Due personaggi appartenenti alla storia religiosa e uno mitico si ergono a rappresentati di tre possibili espressioni del tradire verbo che, come viene sottolineato nel corso dello spettacolo, ha nella sua derivazione latina tradere il significato di dare, affidare, consegnare, indicando dunque un’azione che veicola qualcosa da qualcuno a qualcun altro, e dunque una sottrazione. Il primo a essere indagato è Giuda, colui che vendette Gesù al sinedrio per trenta denari, l’unico che adopera un linguaggio e indossa abiti contemporanei proprio perché incarna un simbolo antico ma sempre attuale, l’essenza stessa del tradimento. Ambrogio riflette sulle cause che lo fecero venir meno alla fede nei confronti del figlio di Dio, non lo condanna ma cerca di capirlo in quanto uomo. Segue dunque Pietro Bernardone dei Moriconi, padre di San Francesco d’Assisi, avido e ricco genitore rinnegato che esprime in volgare tutta la sua cieca rabbia per il tradimento filiale. Richiamata dagli Inferi arriva infine Didone, detentrice del tradimento amoroso, addobbata (più che vestita) a mo’ di vedova nera con tacchi altissimi. Declama in versi le sciagure subite a causa dell’abbandono di Enea ma non con intonazione straziante bensì come se fosse quasi un’attrice di cabaret, di vaudeville, trasformando così la tragedia in uno spettacolo comico e felicemente anacronistico. Tre tuffi in tre epoche diverse per raccontare gli sconvolgimenti dell’animo umano provocati dal tradimento. Senza schierarsi, senza puntare il dito ne prendere le parti di nessuno. Una sceneggiatura sublime e complessa padroneggiata, nei suoi mutamenti linguistici e di stile, da un poliedrico Pierfrancesco Ambrogio che tiene viva l’attenzione per più di un’ora sostenuto solo dalle sonorità, un po’ jazz e un po’ swing, della piccola orchestra.

Teatro Piccolo Re di Roma dal 18 al 20 novembre 2011 “Didone, Bernardone e altre sciagureâ€? Di e con: Pierfrancesco Ambrogio, Musiche: Salvatore Zambataro â€" fisarmonica, Remo Izz â€" sax tenore, Marco Turriziani - contrabbasso e chitarra, Paolo Margutta â€" percussioni. Dissertazione sul tema del tradimento sia dal punto di vista di chi è tradito che di chi tradisce. Due personaggi appartenenti alla storia religiosa e uno mitico si ergono a rappresentati di tre possibili espressioni del tradire verbo che, come viene sottolineato nel corso dello spettacolo, ha nella sua derivazione latina tradere il significato di dare, affidare, consegnare, indicando dunque un’azione che veicola qualcosa da qualcuno a qualcun altro, e dunque una sottrazione. Il primo a essere indagato è Giuda, colui che vendette Gesù al sinedrio per trenta denari, l’unico che adopera un linguaggio e indossa abiti contemporanei proprio perché incarna un simbolo antico ma sempre attuale, l’essenza stessa del tradimento. Ambrogio riflette sulle cause che lo fecero venir meno alla fede nei confronti del figlio di Dio, non lo condanna ma cerca di capirlo in quanto uomo. Segue dunque Pietro Bernardone dei Moriconi, padre di San Francesco d’Assisi, avido e ricco genitore rinnegato che esprime in volgare tutta la sua cieca rabbia per il tradimento filiale. Richiamata dagli Inferi arriva infine Didone, detentrice del tradimento amoroso, addobbata (più che vestita) a mo’ di vedova nera con tacchi altissimi. Declama in versi le sciagure subite a causa dell’abbandono di Enea ma non con intonazione straziante bensì come se fosse quasi un’attrice di cabaret, di vaudeville, trasformando così la tragedia in uno spettacolo comico e felicemente anacronistico. Tre tuffi in tre epoche diverse per raccontare gli sconvolgimenti dell’animo umano provocati dal tradimento. Senza schierarsi, senza puntare il dito ne prendere le parti di nessuno. Una sceneggiatura sublime e complessa padroneggiata, nei suoi mutamenti linguistici e di stile, da un poliedrico Pierfrancesco Ambrogio che tiene viva l’attenzione per più di un’ora sostenuto solo dalle sonorità, un po’ jazz e un po’ swing, della piccola orchestra.
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