Teatro Dehon 30 Luglio 2008 The zoo story di Edward Albee con Matteo Cotugno e Raffaele Rinaldi per la regia di Marcello Cotugno.The Zoo Story parla principalmente di solitudine, di emarginazione e di come “…alle volte per raggiungere un punto a noi vicino dobbiamo fare un lungo giro per arrivarci dal lato giusto…�. Jerry, uno borderline ma molto lucido e acuto, va al parco dove incontra Peter, un tranquillo padre di famiglia benestante, e cerca di comunicare con lui, di fargli arrivare qualcosa della sua difficile esistenza nell'inferno di un affittacamere nei sobborghi di New York. Peter per carità cristiana lo sta ad ascoltare o almeno così sembra. Però tutto pare rimbalzargli contro, anche quella tremenda storia del cane...Albee riesce a mescolare realismo e assurdo, Williams a Ionesco, a Beckett. Tutto sembra rivelarsi una specie di piano escogitato da Jerry, un novello Jesus che consegna le chiavi (un libro) a Pietro per divulgare il verbo della comunicazione mancata. Una redenzione laica, un sacrificio metropolitano, anche ironico, che rimanda a certi episodi biblici e che lascia ancora oggi colpiti e impotenti davanti al mal de vivre e alla tematica esistenzialista che Camus seppe esprimere così bene in quegli anni. Un risvolto fortemente sociale, di due classi estreme che si incontrano, e in cui il tentativo di Jerry è di azzerare i livelli, di riportare Peter al round zero, che ci ricorda le scimmie e il bastone di Kubrick (“Prendi il bastone prendi il bastone prendi il bastone!�). un livello animale che esploderà improvviso … La messa in scena rispetta il dualismo voluto dall'autore; a dialoghi realistici e tendenti alla `verità in scena' si oppongono la scenografia (un Central Park deviato verso Times Square a monito di simbolo"), le musiche dei Residents, tratte dal recente concept-album "Demons dance alone" dei Tuxedomoon e di Badalamenti con Julee Cruise, e uno spazio delimitato da brevi contributi virtuali che caratterizzano la messa in scena, infatti la scenografia è una webcam che proietta in diretta le immagini di New York: tutto cerca di evidenziare gli spigoli incandescenti che Albee ha messo in onda con questa sua prima commedia. Frutto di trent'anni di esperienza, con debutto all'estero (1959 in Germania) sbocciò come un razzo planetario nella vita sconsolata di Albee come speedy boy alla Western Union. Due estrazioni sociali differenti entrano in contatto. Una ha bisogno di farsi ascoltare, l’altra di non sentirsi aliena alla sofferenza, sensibile allo smarrimento, aperta nei confronti di un altrui dolore che stenta a percepire come proprio. Marcello Cotugno porta in scena l’atto unico di Edwar Albee che mette a confronto uno spiantato in cerca di un contatto e un padre di famiglia che, sulla sua solita panchina, trova la condizione ideale per dedicarsi alla lettura. Il ragazzo percorre a piedi tutta la Fifth Avenue per arrivare di fronte al prossimo, tentare di stimolare la sua curiosità e spegnere la sua diffidenza. Difficile incasellare i discorsi del giovane, anticipare dove vogliano andare a parare, l’odio e il bisogno d’amore a tratti represso al quale tenta di abbandonarsi. La visita allo zoo diviene l’ultimo tentativo di entrare in contatto con un essere, l’ultima occasione per lasciare una strada segnata, tragica, definitiva. La vittima sulla panchina risponde alle regole del caso o è stata scelta per le sue caratteristiche? Con le panchine che avvicinano le due solitudini, una webcam che su uno schermo proietta immagini della quinta strada oggi, foglie secche e giornaletti pornografici, il regista riproduce l’alienazione metropolitana, il volontario insabbiamento delle anime all’interno di solide strutture dalle fondamenta di burro, la difficoltà di convivere con un prossimo sempre più attaccato e distante. Ad un inizio di studio, di scioglimento anche per gli interpreti, segue un crescendo che incupisce e paralizza nell’attesa dell’evento che libera quando l’agognato contatto drammaticamente si stabilisce. Tra gesti d’affet
Teatro Dehon 30 Luglio 2008 The zoo story di Edward Albee con Matteo Cotugno e Raffaele Rinaldi per la regia di Marcello Cotugno.The Zoo Story parla principalmente di solitudine, di emarginazione e di come “…alle volte per raggiungere un punto a noi vicino dobbiamo fare un lungo giro per arrivarci dal lato giusto…�. Jerry, uno borderline ma molto lucido e acuto, va al parco dove incontra Peter, un tranquillo padre di famiglia benestante, e cerca di comunicare con lui, di fargli arrivare qualcosa della sua difficile esistenza nell'inferno di un affittacamere nei sobborghi di New York. Peter per carità cristiana lo sta ad ascoltare o almeno così sembra. Però tutto pare rimbalzargli contro, anche quella tremenda storia del cane...Albee riesce a mescolare realismo e assurdo, Williams a Ionesco, a Beckett. Tutto sembra rivelarsi una specie di piano escogitato da Jerry, un novello Jesus che consegna le chiavi (un libro) a Pietro per divulgare il verbo della comunicazione mancata. Una redenzione laica, un sacrificio metropolitano, anche ironico, che rimanda a certi episodi biblici e che lascia ancora oggi colpiti e impotenti davanti al mal de vivre e alla tematica esistenzialista che Camus seppe esprimere così bene in quegli anni. Un risvolto fortemente sociale, di due classi estreme che si incontrano, e in cui il tentativo di Jerry è di azzerare i livelli, di riportare Peter al round zero, che ci ricorda le scimmie e il bastone di Kubrick (“Prendi il bastone prendi il bastone prendi il bastone!�). un livello animale che esploderà improvviso … La messa in scena rispetta il dualismo voluto dall'autore; a dialoghi realistici e tendenti alla `verità in scena' si oppongono la scenografia (un Central Park deviato verso Times Square a monito di simbolo"), le musiche dei Residents, tratte dal recente concept-album "Demons dance alone" dei Tuxedomoon e di Badalamenti con Julee Cruise, e uno spazio delimitato da brevi contributi virtuali che caratterizzano la messa in scena, infatti la scenografia è una webcam che proietta in diretta le immagini di New York: tutto cerca di evidenziare gli spigoli incandescenti che Albee ha messo in onda con questa sua prima commedia. Frutto di trent'anni di esperienza, con debutto all'estero (1959 in Germania) sbocciò come un razzo planetario nella vita sconsolata di Albee come speedy boy alla Western Union. Due estrazioni sociali differenti entrano in contatto. Una ha bisogno di farsi ascoltare, l’altra di non sentirsi aliena alla sofferenza, sensibile allo smarrimento, aperta nei confronti di un altrui dolore che stenta a percepire come proprio. Marcello Cotugno porta in scena l’atto unico di Edwar Albee che mette a confronto uno spiantato in cerca di un contatto e un padre di famiglia che, sulla sua solita panchina, trova la condizione ideale per dedicarsi alla lettura. Il ragazzo percorre a piedi tutta la Fifth Avenue per arrivare di fronte al prossimo, tentare di stimolare la sua curiosità e spegnere la sua diffidenza. Difficile incasellare i discorsi del giovane, anticipare dove vogliano andare a parare, l’odio e il bisogno d’amore a tratti represso al quale tenta di abbandonarsi. La visita allo zoo diviene l’ultimo tentativo di entrare in contatto con un essere, l’ultima occasione per lasciare una strada segnata, tragica, definitiva. La vittima sulla panchina risponde alle regole del caso o è stata scelta per le sue caratteristiche? Con le panchine che avvicinano le due solitudini, una webcam che su uno schermo proietta immagini della quinta strada oggi, foglie secche e giornaletti pornografici, il regista riproduce l’alienazione metropolitana, il volontario insabbiamento delle anime all’interno di solide strutture dalle fondamenta di burro, la difficoltà di convivere con un prossimo sempre più attaccato e distante. Ad un inizio di studio, di scioglimento anche per gli interpreti, segue un crescendo che incupisce e paralizza nell’attesa dell’evento che libera quando l’agognato contatto drammaticamente si stabilisce. Tra gesti d’affet
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