FRATELLO DEI CANI - (21/06/14)


CANALE:

Centrale Preneste 3-6 maggio 2012 "FRATELLO DEI CANI (Pasolini e l'odore della fine)"Progetto e regia di Marco Palladini, Con Fabio Traversa e Marco Palladini e con Amedeo Morrone (musiche e canto) e Cinzia Villari (in video), Riprese e montaggio video: Iolanda La Carrubba, Registrazione audio: O.A.S.I. Studio - Roma,Elementi scenici e abiti: Luisa Taravella. Nel novantesimo anniversario della nascita di Pasolini, dopo il recital Il Vangelo secondo Pier Paolo, che esplorava l'asse 'cristologico' sotteso a tutta l'opera pasoliniana e il suo controverso rapporto con la religione, propongo un nuovo lavoro in cui mi addentro nel cuore del conflitto esistenziale-poetico che connota l'intero percorso dello scrittore emiliano-friulano: ossia l'intricato e mai sciolto nodo dei rapporti familiari. Dalla collisione con il padre militare (e fascista) alla relazione di tenerezza amorosa, ma anche di rabbiosa rivolta con la madre, discende la sua psichico artistica e fondante posizione di 'figlio' che quando nel 1968, di fronte agli studenti in lotta, scopre di essere generazionalmente diventato un 'padre', esplode ed entra in profonda crisi. Anche da qui si dirama quella tensione tanatofila, quasi un 'corteggiamento della morte' che punteggia tantissimi dei suoi scritti. Letti, inevitabilmente, dopo il suo orribile assassinio, come una profetica visione della sua fine. Ma che, forse, oggi è meglio considerare come la lucida e anticipata percezione di una radicale mutazione antropologico-culturale che coincideva con l'eclissi della civiltà umanistica e in cui non c'era più un vero spazio per la poesia. Non è un caso del resto che, dopo Pasolini, non ci sia più stato in questo paese un poeta capace di investire lo spazio pubblico-politico con la forza etica, appassionata e provocatoria della propria voce. La fine di Pasolini non è soltanto la 'morte di un poeta' e ci riguarda tutti, tutti quelli almeno che tuttora si ostinano a pensare al fare artistico come un modo privilegiato per cercare di dare un senso al mondo, per non arrendersi all'insensatezza panica che assedia e sembra sommergere l'epoca che viviamo. (m.p.)

Centrale Preneste 3-6 maggio 2012 "FRATELLO DEI CANI (Pasolini e l'odore della fine)"Progetto e regia di Marco Palladini, Con Fabio Traversa e Marco Palladini e con Amedeo Morrone (musiche e canto) e Cinzia Villari (in video), Riprese e montaggio video: Iolanda La Carrubba, Registrazione audio: O.A.S.I. Studio - Roma,Elementi scenici e abiti: Luisa Taravella. Nel novantesimo anniversario della nascita di Pasolini, dopo il recital Il Vangelo secondo Pier Paolo, che esplorava l'asse 'cristologico' sotteso a tutta l'opera pasoliniana e il suo controverso rapporto con la religione, propongo un nuovo lavoro in cui mi addentro nel cuore del conflitto esistenziale-poetico che connota l'intero percorso dello scrittore emiliano-friulano: ossia l'intricato e mai sciolto nodo dei rapporti familiari. Dalla collisione con il padre militare (e fascista) alla relazione di tenerezza amorosa, ma anche di rabbiosa rivolta con la madre, discende la sua psichico artistica e fondante posizione di 'figlio' che quando nel 1968, di fronte agli studenti in lotta, scopre di essere generazionalmente diventato un 'padre', esplode ed entra in profonda crisi. Anche da qui si dirama quella tensione tanatofila, quasi un 'corteggiamento della morte' che punteggia tantissimi dei suoi scritti. Letti, inevitabilmente, dopo il suo orribile assassinio, come una profetica visione della sua fine. Ma che, forse, oggi è meglio considerare come la lucida e anticipata percezione di una radicale mutazione antropologico-culturale che coincideva con l'eclissi della civiltà umanistica e in cui non c'era più un vero spazio per la poesia. Non è un caso del resto che, dopo Pasolini, non ci sia più stato in questo paese un poeta capace di investire lo spazio pubblico-politico con la forza etica, appassionata e provocatoria della propria voce. La fine di Pasolini non è soltanto la 'morte di un poeta' e ci riguarda tutti, tutti quelli almeno che tuttora si ostinano a pensare al fare artistico come un modo privilegiato per cercare di dare un senso al mondo, per non arrendersi all'insensatezza panica che assedia e sembra sommergere l'epoca che viviamo. (m.p.)
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