Centrale preneste sabato 28 gennaio 2012 “Litania per Emilio Villa”per la rassegna “Il corpo elettrico della parola – 2”. Recital poetico ideato, diretto ed eseguito da Marco Palladini con Tiziana Lucattini e Fabio Traversa, elementi scenici Luisa Taravella. Emilio Villa morto a 88 anni, il 14 gennaio 2003, è il più grande e insieme il più misconosciuto sperimentatore in versi del secondo Novecento italiano ed europeo. Poeta inafferrabile, oracolare, metamorfico, scriveva in cinque o sei lingue, e riusciva a mescolare e sintetizzare la sovversione linguistica ed estetica delle avanguardie con la conoscenza filologica di lingue morte e la sapienza antica di mitologie e dottrine religiose classiche. La sua vasta opera si è dispersa nel corso del tempo in decine e decine pubblicazioni a tiratura limitata e per lo più introvabili, segno di una vocazione alla dépense, allo spreco artistico assoluto, ma anche di una personalità anarchica, insofferente e ribelle verso le forme e le formule codificate del sistema culturale. La scrittura di Villa risulta affascinante e potente per la capacità, da un lato, di immergersi nella viva materia segnica della lingua, ricavandone tutti i giochi verbali, fonetici e polisemici possibili, e dall’altro lato per lo slancio con cui sa esplorare la dimensione filosofica, concettuale e spirituale dell’essere, ricercando una via di interrogazione sempre sospesa tra la “Parola Sublime” e il “Silenzio Senza Fine”. Quasi intendendo che il Dio è Logos, ma anche soffio, pnèuma misterico, Villa sospinge nell’ultimo periodo la sua scrittura verso la “oscurità” programmatica di composizioni in latino, in greco antico o in un francese reinventato, come a voler celebrare il puro suono della parola letteraria, che si fa medianico strumento di interfaccia tra il senso e il nonsenso, vertiginoso mundiloquio tra la realtà e il nulla. È in questo mercuriale profilo da Giano bifronte e da Proteo multiparlante e plurifonetico di Villa, che la sua poesia appare di singolare e straordinaria qualità perché, oltre le contrapposizioni di materialismo e idealismo, esprime la capacità di interrogare l’orizzonte cosmogonico, mitopoietico, enigmatico dell’uomo proprio attraverso la mistilingue, “ideologica” materialità della parola. È, dunque, la volontà di inseguire e di lambire le complesse trame di una voce poetica ubiqua e totalizzante, ultramoderna e primordiale, gnostica e caustica, taumaturgica e nichilistica, che mi ha guidato nel progetto di una concertazione-lettura scenica della sua impervia macchina testuale, che parte innanzitutto dal desiderio di far conoscere l’opera mirabile di questo autore. L’idea è quella di una “messa in ascolto” del suo crogiolo letterario attraverso una partitura fonetico-espressiva organizzata in quattro movimenti più un prologo ed un epilogo. Partitura affidata ad una esecuzione in terzetto vocale con contrappunti sonori, il cui carattere di fondo è quello di una “litania” (lo stesso Villa scrisse nei primi anni ’70 una Letania per Carmelo Bene). Ovvero di una forma poetica nella quale le iterazioni, le invocazioni, i rimandi, le invenzioni, gli slittamenti assumono una dimensione vaticinante e musicale, e le voci recitanti e officianti veicolano, nella liturgia della scena, un possibile (o impossibile?) viaggio al termine della parola.
Centrale preneste sabato 28 gennaio 2012 “Litania per Emilio Villa”per la rassegna “Il corpo elettrico della parola – 2”. Recital poetico ideato, diretto ed eseguito da Marco Palladini con Tiziana Lucattini e Fabio Traversa, elementi scenici Luisa Taravella. Emilio Villa morto a 88 anni, il 14 gennaio 2003, è il più grande e insieme il più misconosciuto sperimentatore in versi del secondo Novecento italiano ed europeo. Poeta inafferrabile, oracolare, metamorfico, scriveva in cinque o sei lingue, e riusciva a mescolare e sintetizzare la sovversione linguistica ed estetica delle avanguardie con la conoscenza filologica di lingue morte e la sapienza antica di mitologie e dottrine religiose classiche. La sua vasta opera si è dispersa nel corso del tempo in decine e decine pubblicazioni a tiratura limitata e per lo più introvabili, segno di una vocazione alla dépense, allo spreco artistico assoluto, ma anche di una personalità anarchica, insofferente e ribelle verso le forme e le formule codificate del sistema culturale. La scrittura di Villa risulta affascinante e potente per la capacità, da un lato, di immergersi nella viva materia segnica della lingua, ricavandone tutti i giochi verbali, fonetici e polisemici possibili, e dall’altro lato per lo slancio con cui sa esplorare la dimensione filosofica, concettuale e spirituale dell’essere, ricercando una via di interrogazione sempre sospesa tra la “Parola Sublime” e il “Silenzio Senza Fine”. Quasi intendendo che il Dio è Logos, ma anche soffio, pnèuma misterico, Villa sospinge nell’ultimo periodo la sua scrittura verso la “oscurità” programmatica di composizioni in latino, in greco antico o in un francese reinventato, come a voler celebrare il puro suono della parola letteraria, che si fa medianico strumento di interfaccia tra il senso e il nonsenso, vertiginoso mundiloquio tra la realtà e il nulla. È in questo mercuriale profilo da Giano bifronte e da Proteo multiparlante e plurifonetico di Villa, che la sua poesia appare di singolare e straordinaria qualità perché, oltre le contrapposizioni di materialismo e idealismo, esprime la capacità di interrogare l’orizzonte cosmogonico, mitopoietico, enigmatico dell’uomo proprio attraverso la mistilingue, “ideologica” materialità della parola. È, dunque, la volontà di inseguire e di lambire le complesse trame di una voce poetica ubiqua e totalizzante, ultramoderna e primordiale, gnostica e caustica, taumaturgica e nichilistica, che mi ha guidato nel progetto di una concertazione-lettura scenica della sua impervia macchina testuale, che parte innanzitutto dal desiderio di far conoscere l’opera mirabile di questo autore. L’idea è quella di una “messa in ascolto” del suo crogiolo letterario attraverso una partitura fonetico-espressiva organizzata in quattro movimenti più un prologo ed un epilogo. Partitura affidata ad una esecuzione in terzetto vocale con contrappunti sonori, il cui carattere di fondo è quello di una “litania” (lo stesso Villa scrisse nei primi anni ’70 una Letania per Carmelo Bene). Ovvero di una forma poetica nella quale le iterazioni, le invocazioni, i rimandi, le invenzioni, gli slittamenti assumono una dimensione vaticinante e musicale, e le voci recitanti e officianti veicolano, nella liturgia della scena, un possibile (o impossibile?) viaggio al termine della parola.
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