"Teatro India dal 28 novembre al 3 dicembre 2011 “Italianesi” di e con Saverio La Ruina. musiche originali eseguite dal vivo da Gianfranco De Franco produzione Scena Verticale.  Esiste una tragedia rimossa dai libri di storia, sconosciuta, inaudita, consumata fino a qualche giorno fa a pochi chilometri dalle nostre case. La tragedia di un migliaio di italiani internati nei campi di prigionia della ‘Siberia’ albanese, figli di tecnici italiani impegnati nella ricostruzione dell'Albania dopo la seconda guerra mondiale condannati come ‘nemici’ del regime comunista e rimpatriati.  Donne e bambini vengono trattenuti, poi rinchiusi nei campi, per la sola colpa di essere mogli e figli di italiani. Vivono in alloggi circondati da filo spinato, controllati quotidianamente dalla temuta “Sigurimi”, la polizia segreta del regime, sottoposti a interrogatori, appelli quotidiani, lavori forzati, torture. In quei campi di prigionia rimarranno quarant'anni, dimenticati. Come il ‘nostro’ che vi nasce nel 1951 e vi rimane fino al 1991. E così i suoi figli. Con loro vive nel mito dell'Italia, la patria anelata dove un giorno vivere liberi: «Mia madre mi parlava sempre di mio padre e mi raccontava dell'Italia e io ho cominciato a venirci ogni notte in Italia, nei miei sogni. Ho iniziato a sentire il rumore del mare, a immaginare come potesse essere Ischia, le montagne. Conoscevo l'Italia senza averla mai vista».  Dopo la caduta del muro di Berlino, arrivano nel Belpaese in 365. Riconosciuti come profughi dallo Stato italiano, convinti di essere accolti come eroi, ma parlano uno stentato italiano e hanno i natali albanesi. Dopo quarant'anni di prigionia in Albania perché italiani, incontrano la discriminazione in Italia perché albanesi. Paradossalmente condannati ad essere italiani in Albania e albanesi in Italia: «Quand'ero in Albania mi chiamavano fascista, italiano, con enorme disprezzo. Oggi mi chiamano albanese, io che sono stato condannato a morte per essere italiano»."
"Teatro India dal 28 novembre al 3 dicembre 2011 “Italianesi” di e con Saverio La Ruina. musiche originali eseguite dal vivo da Gianfranco De Franco produzione Scena Verticale.  Esiste una tragedia rimossa dai libri di storia, sconosciuta, inaudita, consumata fino a qualche giorno fa a pochi chilometri dalle nostre case. La tragedia di un migliaio di italiani internati nei campi di prigionia della ‘Siberia’ albanese, figli di tecnici italiani impegnati nella ricostruzione dell'Albania dopo la seconda guerra mondiale condannati come ‘nemici’ del regime comunista e rimpatriati.  Donne e bambini vengono trattenuti, poi rinchiusi nei campi, per la sola colpa di essere mogli e figli di italiani. Vivono in alloggi circondati da filo spinato, controllati quotidianamente dalla temuta “Sigurimi”, la polizia segreta del regime, sottoposti a interrogatori, appelli quotidiani, lavori forzati, torture. In quei campi di prigionia rimarranno quarant'anni, dimenticati. Come il ‘nostro’ che vi nasce nel 1951 e vi rimane fino al 1991. E così i suoi figli. Con loro vive nel mito dell'Italia, la patria anelata dove un giorno vivere liberi: «Mia madre mi parlava sempre di mio padre e mi raccontava dell'Italia e io ho cominciato a venirci ogni notte in Italia, nei miei sogni. Ho iniziato a sentire il rumore del mare, a immaginare come potesse essere Ischia, le montagne. Conoscevo l'Italia senza averla mai vista».  Dopo la caduta del muro di Berlino, arrivano nel Belpaese in 365. Riconosciuti come profughi dallo Stato italiano, convinti di essere accolti come eroi, ma parlano uno stentato italiano e hanno i natali albanesi. Dopo quarant'anni di prigionia in Albania perché italiani, incontrano la discriminazione in Italia perché albanesi. Paradossalmente condannati ad essere italiani in Albania e albanesi in Italia: «Quand'ero in Albania mi chiamavano fascista, italiano, con enorme disprezzo. Oggi mi chiamano albanese, io che sono stato condannato a morte per essere italiano»."
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