Teatro Due 15 settembre 2013 “Asintoti”
Coreografia e regia: Salvatore Romania e Laura Odierna
Danzatori: Salvatore Romania, Claudia Bertuccelli, Valeria Ferrante
Compagnia: Petranura Danza
«Il termine asintoti è un aggettivo», questo l’incipit delle note di regia fornite a noi spettatori, come per introdurci in un linguaggio espressivo rarefatto e annunciarci danze dalle forme allusive, come è ogni aggettivo in un discorso. Dunque, il discorso di Salvatore Romania, Claudia Bertuccelli e Valeria Ferrante, i tre danzatori di Asintoti, inizia intervallando movimenti e parole, danza e recitazione. All’accendersi delle luci, i tre ballerini si muovono con gesti più mimici che danzati, in quell’eclettico connubio che la danza contemporanea e la sperimentazione dei singoli artisti sa offrire: la scissione tra musica e parola, tra recitazione e danza, diventa sempre più inconsistente. In Asintoti, abbiamo inizialmente a che fare, appunto, con dei mimi, poi con dei ballerini e, improvvisamente, con degli attori. Quando Salvatore Romania prende la parola, noi capiamo che gli artisti sul palco, oltre che ballare, intendono raccontarci una storia: quella di una coppia scoppiata. In realtà, sarà molto di più. Per ogni coppia che scoppia, ci sono degli asintoti. Aggettivi, arricchimenti di un discorso, che hanno il potere, però, di deciderne le sorti. Un discorso prende una direzione quando contiene aggettivi, perché essi lo caratterizzano. Senza, sarebbero solo punti fermi. Immaginiamo una coppia fatta di due esseri fermi: non può scoppiare, perché i due punti non tendono a raggiungersi e intersecarsi. Ogni coppia umana, di qualsiasi categoria e natura, è tale perché cerca di comunicare, di avvicinarsi, fino a fondersi. Cerca di farlo, ma l’intersezione tra sistemi aperti, che noi tutti siamo, tende a sforare, a raggiungersi e poi oltrepassarsi, senza mai fondersi stabilmente. È un horror vacui, è malattia degli affetti: ci si affanna per corrersi incontro ma non si sfocia che nel vuoto. Il terrore di quel vuoto ci fa continuare a correre, a cercare una soluzione che non esiste, ma alla quale non vogliamo rinunciare. Siamo asintoti, tendiamo verso un comune infinito, ma restiamo linee in movimento, che non raggiungono né l’infinito, né altre linee, né captano la bellezza del linguaggio rarefatto che esprimono: il non fondersi mai, il tendere all’infinito senza poterlo raggiungere e temendo anche la stessa possibilità di raggiungerlo, diventa il disequilibrio più rassicurante per l’umanità, perché ci permette di restare in movimento. Difatti, quando la musica finisce e le luci si spengono, i tre ballerini stanno ancora affannosamente danzando, sempre più svelti: tre linee che si rincorrono, vogliono intrecciarsi, asintoti senza destinazione, uomini in disequilibrio.
Teatro Due 15 settembre 2013 “Asintoti”
Coreografia e regia: Salvatore Romania e Laura Odierna
Danzatori: Salvatore Romania, Claudia Bertuccelli, Valeria Ferrante
Compagnia: Petranura Danza
«Il termine asintoti è un aggettivo», questo l’incipit delle note di regia fornite a noi spettatori, come per introdurci in un linguaggio espressivo rarefatto e annunciarci danze dalle forme allusive, come è ogni aggettivo in un discorso. Dunque, il discorso di Salvatore Romania, Claudia Bertuccelli e Valeria Ferrante, i tre danzatori di Asintoti, inizia intervallando movimenti e parole, danza e recitazione. All’accendersi delle luci, i tre ballerini si muovono con gesti più mimici che danzati, in quell’eclettico connubio che la danza contemporanea e la sperimentazione dei singoli artisti sa offrire: la scissione tra musica e parola, tra recitazione e danza, diventa sempre più inconsistente. In Asintoti, abbiamo inizialmente a che fare, appunto, con dei mimi, poi con dei ballerini e, improvvisamente, con degli attori. Quando Salvatore Romania prende la parola, noi capiamo che gli artisti sul palco, oltre che ballare, intendono raccontarci una storia: quella di una coppia scoppiata. In realtà, sarà molto di più. Per ogni coppia che scoppia, ci sono degli asintoti. Aggettivi, arricchimenti di un discorso, che hanno il potere, però, di deciderne le sorti. Un discorso prende una direzione quando contiene aggettivi, perché essi lo caratterizzano. Senza, sarebbero solo punti fermi. Immaginiamo una coppia fatta di due esseri fermi: non può scoppiare, perché i due punti non tendono a raggiungersi e intersecarsi. Ogni coppia umana, di qualsiasi categoria e natura, è tale perché cerca di comunicare, di avvicinarsi, fino a fondersi. Cerca di farlo, ma l’intersezione tra sistemi aperti, che noi tutti siamo, tende a sforare, a raggiungersi e poi oltrepassarsi, senza mai fondersi stabilmente. È un horror vacui, è malattia degli affetti: ci si affanna per corrersi incontro ma non si sfocia che nel vuoto. Il terrore di quel vuoto ci fa continuare a correre, a cercare una soluzione che non esiste, ma alla quale non vogliamo rinunciare. Siamo asintoti, tendiamo verso un comune infinito, ma restiamo linee in movimento, che non raggiungono né l’infinito, né altre linee, né captano la bellezza del linguaggio rarefatto che esprimono: il non fondersi mai, il tendere all’infinito senza poterlo raggiungere e temendo anche la stessa possibilità di raggiungerlo, diventa il disequilibrio più rassicurante per l’umanità, perché ci permette di restare in movimento. Difatti, quando la musica finisce e le luci si spengono, i tre ballerini stanno ancora affannosamente danzando, sempre più svelti: tre linee che si rincorrono, vogliono intrecciarsi, asintoti senza destinazione, uomini in disequilibrio.
Posta un commento