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Un nuovo lavoro e una nuova partenza lontani dall’ennesimo fallimento d’amore. Una attesa che si trasforma in viaggio all’interno della propria vita fino ad allora solo sfiorata. Una confessione breve ed intensa, sospesa tra comico e tragico, che diventa atto d’accusa e redenzione
In questo adattamento convivono testi profondamente diversi ma uniti da un forte legame: la verità.
Nel testo di Böll (Opinioni di un clown) l’analisi del rapporto tra artista e circostante (critici, famiglia, amore, amici) è costante ed evidenzia un legame in teoria impossibile perché macchiato da un vizio: il clown ama ciò che tenta continuamente di distruggerlo: il pubblico.
Ecco che allora le giornate passate in camere d’albergo di quarto ordine, gli stenti della fame, la ricerca i pochi spiccioli per procurarsi qualche attimo di finzione del riposo serale diventano evidenze dell’inesplicabile movimento di una scelta. Nei testi di Paolo Disanto l’impegno sociale, l’urlo incondizionato rispetto alle storture, al perbenismo dannoso, la difesa a oltranza del bambino e dei suoi diritti al gioco, alla famiglia, alla vita serena si accompagnano alle considerazioni sulla stanchezza dell’affrontare ogni giorno, nel quotidiano, la tentazione delle mediazioni, del compromesso. I due testi trovano così un punto d’incontro, necessario per analizzare il percorso che può condurre un clown a decidere di realizzare sé stesso incontrando la vera sofferenza, non mediata, all’interno degli ospedali. Mettendo a disposizione la sua arte, i suoi sorrisi e la sua anima all’interno di stanze bianche piuttosto che su palcoscenici e indossando mascherine al posto di nasi di spugna.
In fondo una storia d’amore in bilico tra comico e tragico che svolge in pochi minuti davanti al pubblico una vita intera e la offre catarticamente all’occhio del pubblico tanto amato.